Mondo senza pace, la responsabilità delle grandi potenze e la necessità di un nuovo equilibrio economico
di Pier Giorgio Ardeni (professore ordinario di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna) e Francesco Sylos Labini (fisico, dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche E. Fermi di Roma)


Lettera del fisico Carlo Rovelli su bombe & occidente:


Seymour Hersh, 1970 Pulitzer Price. How America Took Out the Nord Stream.



Il giornalista Nico Piro su Twitter:
“24 gennaio. Da mesi scrivo che la guerra è un azzardo, una pallina che rotola tra il rosso e il nero. Un anno dopo la pallina sta rallentando la sua corsa e non è un bene. Questo thread è dedicato a quelli che: voi pacifisti volete la resa dell’Ucraina. Da marzo dico che il conflitto è in stallo. Me ne hanno dette di tutti i colori perché avrei negato i successi ucraini a Kharkiv e Kherson. In realtà avrei negato anche mesi di avanzate russe in Donbass. A mio avviso si è trattato solo di aggiustamenti tattici senza valore strategico che non modificano il sostanziale stallo tra le parti. Il fiume di armi dell’Occidente – questo sostiene il #PUB – ha contributo a fermare i russi. Vero se usiamo una prospettiva micro (che è poi la narrazione delle armi game changer, una al mese, senza le quali gli alleati legano mani a Kiev). Se usiamo una prospettiva macro le armi hanno solo allontanato l’unica soluzione possibile a questo conflitto cioè un accordo di pace. L’Ucraina non può vincere, la Russia non può perdere. L’ho ripetuto tante volte. Dopo Soledar e Bakhmut ho paura però che gli errori tattici ucraini (i primi dopo una campagna brillante) ne abbiano condannato la strategia. Ucraini stanno subendo perdite massicce e rischiano di perdere molti altri uomini (catturati o uccisi) se non si ritirano prima che i russi chiudano la sacca. Il fattore manpower è sempre più cruciale per gli ucraini, la prospettiva è che abbiamo sempre meno effettivi. Le armi le possiamo mandare, i soldati dove li troviamo? Dando per scontata la sanità mentale occidentale e quindi escludendo un intervento diretto della Nato. Se nei prossimi 6/12 mesi gli ucraini non riuscissero a mobilitare fino ad un milione di effettivi si rischia una vittoria russa, cioè quello spettro che ha impedito ogni sorta di accordo di pace (“non dobbiamo darla vinta a Putin”). Ed è cosí che l’Occidente ha scommesso sul nero dando per scontato che la pallina non finisse sul rosso. Ora questo rischio è più vicino che mai (ne capiremo la consistenza in primavera anche perchè non abbiamo dati su caduti, feriti, coscritti) a questo punto qualcuno capirà che i pacifisti quando chiedevano e chiedono un accordo di pace non solo vogliono che si fermi il sangue e la distruzione, che si salvino vite e non si renda l’Ucraina un Paese inabitabile. I pacifisti vogliono anche evitare che obbiettivi occidentali ben diversi dall’integrità territoriale ucraina (cioè usurare la macchina bellica russa) aumentino le possibilità di vittoria russa, dell’invasore sull’invaso. Ma per gli opinionisti con l’elmetto: I pacifisti confondono pace con resa. Che infamia! Un anno dopo il #PUB ancora non ha capito che balliamo sul baratro? Davvero? boh”


Il Manifesto Russell-Einstein (Londra, 1955)
Nella tragica situazione che affronta l’umanità, noi riteniamo che gli scienziati dovrebbero riunirsi in un congresso per valutare i pericoli che sono sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito della seguente bozza di documento.

Non stiamo parlando, in questa occasione, come membri di questa o quella nazione o continente o fede religiosa, ma come esseri umani, membri della specie umana, la cui sopravvivenza è ora messa a rischio. Il mondo è pieno di conflitti, tra cui, tralasciando i minori, spicca la titanica lotta tra Comunismo e Anticomunismo. Quasi chiunque abbia una coscienza politica nutre forti convinzioni a proposito di una di queste posizioni; noi vogliamo che voi, se è possibile, mettiate da parte queste convinzioni e consideriate voi stessi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una ragguardevole storia e di cui nessuno di noi desidera la scomparsa.

Cercheremo di non dire una sola parola che possa piacere più ad un gruppo piuttosto che all’altro. Tutti, in eguale misura, sono in pericolo e se il pericolo è compreso, c’è speranza che lo si possa collettivamente evitare.

Dobbiamo cominciare a pensare in una nuova maniera. Dobbiamo imparare a chiederci non che mosse intraprendere per offrire la vittoria militare al proprio gruppo preferito, perché non ci saranno poi ulteriori mosse di questo tipo; la domanda che dobbiamo farci è: che passi fare per prevenire uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per entrambe le parti?

Un vasto pubblico e perfino molti personaggi autorevoli non hanno ancora capito che potrebbero restare coinvolti in una guerra di bombe nucleari. La gente ancora pensa in termini di cancellazione di città. Si è capito che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie e che, mentre una bomba –A potrebbe cancellare Hiroshima, una bomba‐H potrebbe distruggere le più grandi città, come Londra, New York o Mosca. Non c’è dubbio che, in una guerra con bombe‐H, grandi città potrebbero finire rase al suolo. Ma questo è uno dei disastri minori che saremmo chiamati a fronteggiare. Se tutti, a Londra, New York e Mosca venissero sterminati, il mondo potrebbe, nel corso di pochi secoli, riprendersi dal colpo. Ma ora noi sappiamo, specialmente dopo i test alle isole Bikini, che le bombe nucleari possono gradualmente spargere distruzione su di una area ben più vasta di quanto si pensasse.

Si è proclamato con una certa autorevolezza che ora si può costruire una bomba 2.500 volte più potente di quella che ha distrutto Hiroshima.

Una tale bomba, se esplodesse vicino al suolo terrestre o sott’acqua, emetterebbe particelle radioattive nell’atmosfera. Queste ricadono giù gradualmente e raggiungono la superficie terrestre sotto forma di polvere o pioggia mortifera. E’ stata questa polvere che ha contaminato i pescatori giapponesi e i loro pesci. Nessuno sa quanto queste particelle radioattive possano diffondersi nello spazio, ma autorevoli esperti sono unanimi nel dire che una guerra con bombe‐H potrebbe eventualmente porre fine alla razza umana. Si teme che, se molte bombe‐H fossero lanciate, potrebbe verificarsi uno sterminio universale, rapido solo per una minoranza, ma per la maggioranza una lenta tortura di malattie e disgregazione.

Molti avvertimenti sono stati lanciati da eminenti scienziati e da autorità in strategie militari. Nessuno di loro dirà che sono sicuri dei peggiori risultati. Quello che diranno sarà che questi risultati sono possibili, e nessuno può essere certo che non si realizzeranno. Non abbiamo ancora capito se i punti di vista degli esperti su questa questione dipendano in qualche grado dalle loro opinioni politiche o pregiudizi. Dipendono solo, per quanto ci hanno rivelato le nostre ricerche, da quanto è vasta la conoscenza particolare dell’esperto. Abbiamo scoperto che gli uomini che conoscono di più sono i più tristi. Questa è allora la domanda che vi facciamo, rigida, terrificante, inevitabile: metteremo fine alla razza umana, o l’umanità rinuncerà alla guerra?

La gente non affronterà l’alternativa perché è così difficile abolire la guerra. L’abolizione della guerra richiederà disastrose limitazioni alla sovranità nazionale. Ma probabilmente la cosa che impedirà maggiormente di comprendere la situazione sarà il fatto che il termine “umanità” suona vago e astratto. La gente a malapena si rende conto che il pericolo è per loro stessi, i loro figli e i loro nipoti, e non per una vagamente spaventata umanità. Possono a malapena afferrare l’idea che loro, individualmente, e coloro che essi amano sono in pericolo imminente di perire con una lenta agonia. E così sperano che forse la guerra con la corsa a procurarsi armi sempre più moderne venga proibita. Questa speranza è illusoria. Qualsiasi accordo sia stato raggiunto in tempo di pace per non usare le bombe‐H, non sarà più considerato vincolante in tempo di guerra, ed entrambi i contendenti cercheranno di fabbricare bombe‐H non appena scoppia la guerra, perché se una fazione fabbrica le bombe e l’altra no, la fazione che l’avrà fabbricate sarà inevitabilmente quella vittoriosa.

Sebbene un accordo a rinunciare alle armi atomiche come parte di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe una soluzione definitiva, potrebbe servire a degli scopi importanti. Primo, ogni accordo tra Est e Ovest va bene finchè serve ad allentare la tensione. Secondo, l’abolizione delle armi termo‐nucleari, se ogni parte credesse all’onestà dell’altra, potrebbe far scendere la paura di un attacco proditorio stile Pearl Harbour che ora costringe tutte e due le parti in uno stato di continua apprensione.

Noi dovremmo, quindi, accogliere con piacere un tale accordo sebbene solo come un primo passo. Molti di noi non sono neutrali, ma, come esseri umani, ci dobbiamo ricordare che, se la questione tra Est ed Ovest deve essere decisa in qualche maniera che possa soddisfare qualcuno, Comunista o Anti‐comunista, Asiatico o Europeo o Americano, bianco o nero, questa questione non deve essere decisa dalla guerra. Noi desidereremmo che ciò fosse compreso sia all’Est che all’Ovest.

Ci attende, se sapremo scegliere, un continuo progresso di felicità, conoscenza e saggezza. Dovremmo invece scegliere la morte, perché non riusciamo a rinunciare alle nostre liti? Facciamo un appello come esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticatevi del resto. Se riuscirete a farlo si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; se non ci riuscirete, si spalancherà dinanzi a voi il rischio di un’estinzione totale.

Risoluzione:

Noi invitiamo il Congresso, e con esso gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente risoluzione: “In considerazione del fatto che in una qualsiasi guerra futura saranno certamente usate armi nucleari e che queste armi minacciano la continuazione dell’esistenza umana, noi invitiamo i governi del mondo a rendersi conto, e a dichiararlo pubblicamente, che il loro scopo non può essere ottenuto con una guerra mondiale, e li invitiamo di conseguenza a trovare i mezzi pacifici per la soluzione di tutti i loro motivi di contesa.”

Firmato da
Max Born Perry
W. Bridgman
Albert Einstein
Leopold Infeld
Frederic Joliot‐Curie
Herman J. Muller
Linus Pauling
Cecil F. Powell
Joseph Rotblat
Bertrand Russell
Hideki Yukawa


Noam Chomsky on why US must negotiate with Russia, and the world should focus on Climate Change!

“There are some simple facts that aren’t really controversial. There are two ways for a war to end: One way is for one side or the other to be basically destroyed. And the Russians are not going to be destroyed. So that means one way is for Ukraine to be destroyed. The other way is some negotiated settlement. If there’s a third way, no one’s ever figured it out. So what we should be doing is devoting all the things you mentioned, if properly shaped, but primarily moving towards a possible negotiated settlement that will save Ukrainians from further disaster. That should be the prime focus. “
Full transcript.


Il giornalista Nico Piro su Twitter:
“21 marzo. Cominciamo con il bombardamento di oggi a Kyev nelle immagini di un collega della Bild. Non ci vogliono sofisticate indagini per capire che questo è un quartiere residenziale e non un obiettivo militare. Ora di fronte a queste tragiche scene ci sono due possibili reazioni di noi osservatori: 1) condannare attacchi sui civili e spingere per trattative di pace 2) usarle per ricordarci quanto cattivi siano i russi e giustificare l’ampliamento del conflitto. Se fa testo quello che accade dai primi giorni, la voce dominante – anche oggi – sarà quella del PUB (il pensiero unico bellicista) che chiede di fatto un diretto coinvolgimento Nato, quindi una guerra da elevare al cubo. Bisogna precisare che ampliamento del conflitto significherebbe ancora più vittime civili e più distruzione? È scontato ma il PUB lo dimentica fantasticando di una caduta di Putin che un bookmaker serio darebbe 1 a 100. E qui veniamo ad un altro aspetto del conflitto sottaciuto: a mio modesto avviso, è chiaro che gli USA implicitamente puntano al regime change in Russia , cioè per tentare di liberarsi di Putin. Come si spiegherebbero altrimenti le parole di Biden contro Putin? È un punto di non ritorno Biden e il “criminale di guerra” come lo ha definito mai più si siederanno allo stesso tavolo. Anche le sanzioni (arma sacrosanta e ben migliore di una guerra) sembrano pensate proprio per mettere contro oligarchi e Putin, far scattare un dissenso popolare e quindi reazioni da epoca Eltsin e assalto alla casa bianca (di Mosca). Non sta accadendo e difficilmente accadrà. Questo però non aiuta la pace. Vediamo perchè. A mio avviso la soluzione militare in Ucraina non esiste, non c’è possibilità di vittoria per nessuna delle due parti. L’unica soluzione è trattare (e farlo è molto più rischioso per Zelensky che per Putin, al quale basta “poco” per dipingersi da trionfatore). Se non si tratta e non lo si fa subito entro domenica prossima – per azzardare un’ipotesi – il rischio per questo conflitto è di assumere il modello afghano cioè una guerra di guerriglia open-end (senza fine in vista) con un colosso militare che mai (pur raddoppiando i suoi 200mila uomini) potrà controllare un Paese con 40mil di abitanti ostili e armati, e con una avversario (l’invaso) che mai potrà bilanciare la forza militare dell’avversario ma può imporgli un pedaggio altissimo di caduti, equipaggiamento distrutto, soldi spesi. In pratica una situazione in cui nessuno dei due può vincere mentre a perdere sarebbero cmq i civili ucraini. Quando il PUB spinge per ampliamento del conflitto dimentica questo che è lo scenario più probabile. Tra l’altro sarebbe ora di ammettere che nei primi giorni del conflitto sono state fatte analisi che si sono rivelate delle balle finite (sicuramente in buona fede) a convincere Op. Pubblica che la partita bellica si sarebbe chiusa rapidissimamente di fronte al disorganizzato esercito guidato da un pazzo che maltratta in pubblico persino il capo dei suoi servizi segreti. Decidendo di mandare armi in Ucraina (non bastavano quelle UK e USA?) l’Europa si è fatta fuori dal ruolo di possibile mediatore. Resta la Turchia ma 1) Erdogan non è meglio di Putin 2) ha bisogno di rifarsi l’immagine più che del successo nel mettere d’accordo Russia e Ucraina. Ormai credo che l’unico Paese che possa effettivamente mediare tra le parti mettendo (con le quali ha profondi rapporti) sia Israele Il quale ha però evidentemente bisogno di una forte investitura USA che per ora tifano guerra. A questo punto del thread spunterà qualcuno (al netto dei troll) che esibisce i danni culturali prodotti dal PUB e denuncia la “richiesta di resa” ai danni dell’Ucraina . È un’identificazione ontologica e lessicale di trattativa con resa. Lo trovo tragico ma do’ atto agli opinionisti con l’elmetto di essere riusciti in un’opera tutta in salita: dopo 20 di guerra fallimento in Afghanistan, di nuovo c’è chi considera la guerra come uno strumento utile. Siamo tornati al clima post 11/9. Fa paura. Passiamo a Mariupol dove si sta consumando quanto atteso. Si va casa per casa. Russi e separatisti continuano a bombardare indiscriminatamente ma credo che la verità su Mariupol emergerà solo tra (molto?) tempo. Intendo la parte di responsabilità portata dai neonazisti (dichiarati) del Reggimento Operazioni Speciali Azof noti per crudeltà e spregiudicatezza in otto anni di conflitto in Donbass. Tra l’altro ho l’impressione (potrei sbagliarmi) che Zelensky nel rifiutare la resa richiesta dai russi per stamane (pur sapendo che la sconfitta è sicura, che su 1/2 milione di abitanti la quota di civili morti è destinata cosí a crescere) ha mollato Azof al suo destino e quindi allo sterminio. Come dico dai primi giorni Mariupol ha un valore strategico enorme (corridoio di terra tra Rostov e Crimea, controllo mar d’Azov) ma anche simbolico. Se Putin (sbagliando) definisce l’Ucraina un Paese da denazificare, è evidente che vuole foto delle sue truppe nel comando di Azof come fu per i marines nei palazzi di Saddam. Sta di fatto che tra le reciproche accuse in quasi 3 settimane di assedio non si è riusciti ad evacuare Mariupol e la città è in macerie per il 40%. Folle.”


Intervista rilasciata da Noam Chomsky:
“Russia’s invasion of Ukraine took much of the world by surprise. It is an unprovoked and unjustified attack that will go down in history as one of the major war crimes of the 21st century, argues Noam Chomsky in the exclusive interview for Truthout that follows. Political considerations, such as those cited by Russian President Vladimir Putin, cannot be used as arguments to justify the launching of an invasion against a sovereign nation. In the face of this horrific invasion, though, the U.S. must choose urgent diplomacy over military escalation, as the latter could constitute a “death warrant for the species, with no victors,” Chomsky says.”


Intervista rilasciata da Yanis Varoufakis:
“La storia condannerà in ogni caso i leader dell’Ue, che non possono nascondersi dietro a un dito per non aver mantenuto la promessa fondamentale fatta ai cittadini europei: mai più una guerra sul continente. Il più grande errore dell’Europa è stato quello di delegare a Washington e alla Nato. Washington ha fuorviato nel tempo i vari governi ucraini con promesse che gli Stati Uniti non avrebbero mai mantenuto, spingendoli sempre più verso uno scontro con Mosca che metteva in pericolo la pace in Europa e giustificando l’espansione della Nato con l’argomento che era l’unico scudo dalle tensioni che gli Usa stessi stavano contribuendo a creare. E l’Europa ha giocato alla cieca, servendo gli interessi di Washington nelle tensioni con la Russia.”


Il collettivo di scrittori Wu Ming scrivono sul loro blog:
“Ci sono manifestazioni del tipo (parafrasando) «né con la Nato né con Putin, contro tutte le guerre e tutti gli imperialismi». Quelle sono manifestazioni, semplificando, per la pace. Ma sono poche rispetto alle altre, quelle più mediatizzate, che sono manifestazioni solamente contro Putin, ergo all’insegna del «viva noi, viva l’occidente», del «viva la nostra politica di potenza, viva la Nato, viva l’ordoliberismo UE» ecc. Queste sono oggettivamente manifestazioni per la guerra.”
Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale


Lo scrittore Daniele Trovato scrive su Twitter:
All’interno di un confronto tra blocchi in cui si erano saltati gli equilibri della Guerra Fredda, nel 2014 è scoppiata una tragica guerra civile a seguito di una protesta rovesciatasi in colpo di stato. Ben 8 anni di guerra e 15000 morti che i nostri media non hanno raccontato se non di rado e solo per mistificarne le cause e le ragioni, supportando un governo ultranazionalista pesantemente compromesso con forze naziste e revisioniste. Gruppi paramilitari neonazisti si sono macchiati di eccidi impuniti, malgrado questo non sono stati perseguiti, anzi, sono stati integrati nell’esercito regolare, liberi di agire anche con modalità terroristiche. Le forze politiche europee e il governo statunitense, senza distinzione di colore hanno appoggiato tutto questo alla luce del sole, coperti dai media. Gli insorti separatisti hanno resistito ad una terribile guerra di logoramento grazie alla loro determinazione e perché protetti militarmente dall’enorme esercito oltre il confine russo.

Oggi quell’enorme esercito si è rovesciato sull’Ucraina generando una guerra su larga scala che sta causando altri morti, altra distruzione, violando leggi internazionali che, come vediamo ormai in ogni conflitto, non contano nulla. L’obbiettivo dell’invasore è principalmente ristabilire l’equilibrio geopolitico perduto con la dissoluzione dell’URSS. Per giustificare queste ragioni geopolitiche o inter-imperialiste o di sicurezza nazionale, fate voi, strumenatlizza temi condivisibili come la de-nazificazione e le sorti dei territori insorti, e temi aberranti come lo sciovinismo e il neo-zarismo panrusso. Il leader russo è un uomo spietato, autoritario e incline all’uso della forza in politica interna ed esterna (ma non da oggi, dai tempi della guerra in Cecenia), non è però mai stato pazzo, nel senso patologico del termine. Le logiche che lo muovono sono ben note ai suoi nemici occidentali che comprendono e condividono perfettamente la grammatica delle sue mosse, perché è la loro stessa speculare politica di potenza. Le differenze stanno nei rapporti di forza militari, finanziari e nell’uso estremamente più sofisticato e scientifico, che hanno sviluppato nel dominio della comunicazione. Grazie a tale sbilanciamento un blocco ha messo nell’angolo l’altro, giungendo a un disequilibrio quasi totale. Quasi però, perché la presenza di 12000 testate atomiche negli arsenali russi non permette un colpo di grazia come quello che portò in passato all’annichilimento totale o decennale di altri avversari. Non c’è un Hitler da sgominare militarmente, non c’è un Gorbaciov che si lascia travolgere senza opporre resistenza.

La guerra attuale, terribile quanto le altre guerre, altrettanto ingiusta e altrettanto evitabile, andrebbe disinnescata al più presto, evitando il passo successivo dell’escalation ucraina: locale -> nazionale -> globale. Perché l’ultimo passo, quello che non vogliamo neppure nominare, discende immediatamente dalla guerra globale ed ha un nome che rappresenta di per se una minaccia diretta non per questo o quel paese ma per la specie umana. Il suo nome è termonucleare. Abbiamo finto di dimenticare questo nome, come si fa coi nomi dei mostri che ci spaventavano da bambini, ma stavolta nell’armadio non si nascondono soltanto innocui vestiti e nella stanza accanto non ci sono i nostri genitori pronti a rassicurarci e ad accendere la luce. Dobbiamo prenderci la responsabilità del nostro futuro, perché ve ne sia ancora uno degno di essere vissuto. Ma se le forze geopolitiche e statuali che possono fermare questa traiettoria verso il disastro sono le stesse che l’hanno generata, chi potrà mai opporsi per tempo?

Venti anni fa nutrivo fiducia nell’opinione pubblica mondiale, specie occidentale, già indolente certo, ma capace di riconoscere i propri interessi più elementari, quali la pace, la sopravvivenza, la prosperità, quando non gli interessi degli altri popoli. Oggi in questa opinione pubblica non nutro più alcuna fiducia e gli eventi di questi giorni hanno confermato questa mia strisciante consapevolezza oltre ogni mia più cupa immaginazione. Laddove doveva esserci solidarietà fattiva e doverosa verso i civili ucraini, la condanna sacrosanta dello strumento militare e uno strenuo tentativo di comprendere cosa fosse accaduto nei trent’anni precedenti e negli ultimi 8 in particolare per arrivare a questo punto, si sta assistendo all’inimmaginabile. L’inutile retorica del dittatore pazzo, quando il rifiuto inderogabile dell’allargamento ad est della NATO è stato dichiarato come limite invalicalibile dai sovietici, da Gorbaciov e perfino da Eltsin prima che da Putin, come le segreterie occidentali sanno benissimo. La rimozione di qualunque complessità e di qualunque ragionamento sulle cause, nemmeno che la questione ucraina fosse nata nel febbraio del 22. E ancora la derubricazione della componente nazista a pura propaganda del nemico, la divisione dei profughi per etnia, l’invio di armi a una delle parti in causa in barba a Costituzioni pacifiste scritte col sangue dei nostri nonni che ben hanno conosciuto l’orrore della guerra e in quelle pagine hanno lasciato il loro monito dimenticato, l’accusa di intelligenza col nemico a chiunque sollevasse il minimo dubbio sulla semplificazione dolosa imposta dall’alto. La militarizzazione del dibattito, l’ostracizzazione, cioè la discriminazione, di artisti e atleti sulla base del luogo in cui sono nati, una discriminazione talmente ottusa da colpire retroattivamente per riflesso condizionato perfino autori morti da tempo e che hanno contribuito alla formazione della coscienza critica di intere generazioni, patrimonio secolare dei popoli. Abbiamo visto nazioni che pensavamo civili discutere se atleti disabili, fossero degni di cimentarsi nelle rispettive discipline perché dotati del passaporto sbagliato. Dimenticando che nel ’36 venne permesso ai nazisti di organizzare le olimpiadi sfruttandole per la loro infame propaganda. Discutiamo se negare ai disabili quel che, in nome dell’amicizia tra i popoli concedemmo a chi li sterminava e li giudicava indegni di vivere. A questo ci siamo ridotti.A questo sono le ridotte le nostre democrazie e la loro presunta superiorità morale la cui maschera di cartone non cade più soltanto assieme a bombe umanitarie su paesi lontani ma qui, in casa nostra, tra un proclama progressista e l’altro, tra una condanna senza scampo alla barbarie altrui e un elogio vuoto alle nostre presunte libertà.

Rari giornalisti, analisti, intellettuali, sempre più soli, raccolgono discredito per non essersi piegati immediatamente a questa assurda deriva, e prima di pronunciare qualche parola critica devono cimentarsi in lunghe premesse, abiure preventive, annosi distinguo che si rivelano inutili. E’ una forma di paura, subdola e io, che non conto nulla ma scrivo, me la sento addosso e non ho i tempo, travolto come tutti dalle ondate d’opinione dei social, nei tempi disumani del social, di elaborarla. In questo contesto l’opinione pubblica mondiale e occidentale in particolare non è più un’argine, rappresenta anzi un fattore di accelerazione alla terribile catena di eventi che ci sta travolgendo.

Ci siamo in ultima analisi davanti a una guerra vasta e vicina, terribilmente pericolosa, astenuti dall’indagarne le cause e le possibili soluzioni, nell’ottica di salvaguardare i civili ucraini di oggi e di domani e in definitiva noi stessi, abbiamo deciso di appiattirci sulla concezione della componente minoritaria nazista e sciovinista che i nostri politici hanno lasciato agire in quei territori. I nostri politici che oggi parlano di un’opportunità per costruire l’Europa politica intorno al riarmo, descrivono la pace come un “lusso”, soffiano sul fuoco. E su che basi potrà nascere questa Europa non più soltanto finanziaria se non su basi sciovinistiche e belliche? E perché mai dovrebbe essere desiderabile? Tutto questo non può essere accaduto in una settimana, né in otto anni e forse nemmeno in 30, è maturato attraverso un tempo lunghissimo, oggi si manifesta con una violenza inaudita che è impossibile non vedere o perlomeno sentire, in forma di forma d’inquietudine.

Non è questo il tempo dei social per me, è il tempo del ritorno alle letture lente, alle letture nuove e alle riletture. Tra di esse una profezia laica che mi sembra risuonare ovunque. Oggi so cosa sono la “mutazione antropologica” e il “nuovo fascismo” di cui parlava PPP.